Da qualche giorno sento una strana sensazione, una specie di prurito sul palmo delle mani, sulla punta delle dita. E un’altra, molto più nota, verso la bocca dello stomaco. Inequivocabili segnali che sto pensando o rimuginando a qualcosa che mi irrita. Non ci ho riflettuto volutamente per un po’, visto che ormai da tempo mi sono ripromessa di non entrare più nelle numerose e sterili polemiche della serie “donne, famiglia, lavoro”.
Ho vissuto una certa irritazione leggendo l’ormai famosa lettera della madre-avvocata al Corriere della Sera, e così ugualmente leggendo la risposta ufficiale e le varie risposte ufficiose arrivate da ogni dove, di qualsiasi segno esse fossero. La conclusione è che è proprio l’argomento che mi irrita. Qualcuno si chiederà il motivo di tanta mia insofferenza al tema, in considerazione del fatto che, ormai secoli fa, ho iniziato a scrivere questo blog proprio con questo argomento al centro del mondo, così come ho poi smesso, consapevole che una “soluzione” non si sarebbe mai trovata e che il continuo chiacchiericcio non sarebbe mai stato altro che una scusa per alcune donne di sparlare di altre donne che hanno fatto/scelto/dovuto adattarsi a qualcosa di diverso dal rispettivo standard di pensiero del “La perfezione è quella che ho scelto io”.
Recentemente fa mi sono trovata nella condizione di ricominciare a pensare a me stessa in termini di persona che ha un lavoro da svolgere, non solo tra le mura di casa, non solo nell’esclusivo interesse della famiglia. E ovviamente, come tale, ho ricominciato a sentire la necessità di uno spazio mentale in cui programmare, pianificare, organizzare e fare. Grazie al cielo questa volta non ho nessun altro da “soddisfare” se non me stessa, i miei obiettivi, i miei tempi e le mie sacrosante modalità: eppure. Eppure mi sono trovata, come sempre, a dover fare due, tre, quattro cose in parallelo, quando non proprio contemporaneamente, mentre a pari-merito dovevo pensare a sistemare la casa, lavare, stirare, accompagnare e ritirare il figlio a scuola, pensare a cosa cucinare per pranzo e cena, fare la spesa, dare retta alla Creatura quando gira per casa facendo danni o annoiandosi e così via. Beh, direte, niente di straordinario, né di nuovo: è la vita di tutte le donne! Peccato che sia una fatica bestiale e, in aggiunta, il rischio di fare quasi tutto molto peggio di quanto non sarebbe possibile sia sempre dietro l’angolo. Unitamente all’esaurimento psico-fisico.
Io confesso addirittura di avere un marito che ogni settimana si stira le sue camicie. Che, se costretto dagli eventi, è perfettamente in grado di riordinare casa, pulire (anche meglio di quanto non faccia io), fare la spesa e addirittura di provvedere alla preparazione del suo cibo per sé e famiglia. Peccato che tutte queste attività possano essere portate avanti tassativamente UNA PER VOLTA, mai in parallelo, figuriamoci contemporaneamente (!) e che quando ha da pensare al suo lavoro (e non mi spreco a inventare percentuali di tempo su un totale settimanale) non veda/senta/pensi assolutamente a niente altro.
Come disse il sacrosanto CAVEMAN (che dio l’abbia in gloria, sennò sicuramente credo avrei già da tempo divorziato), forse gli uomini non sono né geneticamente né culturalmente programmati per fare più cose insieme, a differenza delle donne. Le donne però, si sappia, così si sono fregate l’esistenza (a meno che non vivano in Scandinavia e, forse, anche lì hanno altri problemi) e questo è un fatto, altrettanto sacrosanto.